raffaele solaini
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In New Hampshire ha vinto Ilary Clinton, ribaltando tutti i pronostici che la davano perdente, sull’orlo di un piano inclinato che l’avrebbe presto obbligata a ritirarsi. La partita sarà ancora lunga, ed è un bene. Il pendolo dei sondaggi, che nell’arco di pochi giorni aveva segnalato uno spostamento nelle intenzioni di voto di oltre il 20%, si ferma su un sostanziale pareggio. La ex First Lady, fino a ieri destinata alla Casa Bianca, non esce di scena. E sarebbe stato ben strano che il candidato più forte potesse essere travolto, bruciato in un attimo. La prova di una democrazia precaria e immatura. Il processo di santificazione di Barack Obama rallenta, a vantaggio forse dello stesso Obama, che ha poco da guadagnare dalla sua trasformazione in un nuovo messia democratico. L’elettorato, infine, mostra nel complesso una posizione più equilibrata, meno volatile ed emotiva.

Nella competizione, sollecitata da uno sfidante che giganteggia per umana personalità, Hilary Clinton ha tirato fuori il meglio di sé, la propria debolezza. La capacità di commuoversi fino alle lacrime, scalfendo per una volta quella maschera intollerabile, nella quale anni di frequentazione con il potere la hanno trasformata. Più umile, non necessariamente vincente per status familiare, ha evitato di essere umiliata, in quanto rappresentante di un potere arrogantemente ereditario. Ma la sua vittoria, frutto della debolezza, è una vittoria di trincea, di guerriglia elettorale, con poco fiato. Mentre Obama evita ogni accenno razziale e invita a superare divisioni ideologiche e paralizzanti, la Clinton sfrutta il suo essere donna, chiede il voto alle donne, rifugiandosi nel fortino femminista. E poi, picchia duro sul cantastorie Obama, svilendo quanto di rivoluzionario e magico vi è nel suo messaggio.

Non basta portare occasionalmente il caffè ai seggi la mattina delle elezioni per ricostruire un rapporto fiduciario con il proprio elettorato. Non è questo il modo di rispondere all’appello di Obama a favore di una rifondazione etica del contratto fra la politica e i cittadini. Non è questo il servizio che la politica dovrebbe offrire. In attesa dei prossimi appuntamenti, viene da augurarsi che la Clinton possa trarre migliore lezione dallo scampato pericolo, non limitandosi a rivendicare la propria maggiore esperienza, ma accettando anche la sfida sul piano dei valori. Ne uscirebbe rafforzata. Anche Obama potrà avvantaggiarsi dal mezzo passo falso. Una lunga galoppata solitaria avrebbe reso manierata la sua figura e inverosimile la sua proposta, che dovrà ora invece dimostrare la propria concretezza nel confronto serrato con la sfidante.

Per il momento ha vinto la democrazia. In un paese nel quale la percentuale di votanti è stato tradizionalmente basso, il dato più importante delle primarie nel New Hampshire è forse l’aumento vertiginoso dell’affluenza ai seggi. Che lo spettacolo continui.

 

LA SCONFITTA GIOVA AD OBAMA, E ALLA DEMOCRAZIA
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(Affaritaliani.it, 09-01-2008)